INTERNATI MILITARI 1943-1945

ARMANDO TESTA – IMI (Internati Militari Italiani) – L’ALTRA RESISTENZA

Questa mattina tratteremo nei limiti di tempo concessi da questa cerimonia, che ricordiamo celebra il 68° anniversario della Liberazione del nostro Paese dalla occupazione tedesca, la fine della II Guerra Mondiale, e la nascita dell’Italia democratica, il tema assai importante dei “Prigionieri Militari Italiani”, catturati dai tedeschi all’indomani dell’armistizio del Regno d’Italia con gli Alleati Angloamericani entrato in vigore l’8 settembre 1943, punto di arrivo dell’implosione del regime fascista del 25 luglio 1943 e l’arresto di Mussolini, avvenuto come logica conseguenza di oltre tre anni di guerra nei quali italiani e tedeschi avevano combattuto da alleati fianco a fianco sui diversi fronti, dai Balcani all’Africa, dalla Francia alla Russia, con esiti a dir poco disastrosi per le forze armate e l’intera popolazione italiana. Prigionieri Militari Italiani destinati ai campi di concentramento vicini alle grandi aree industriali dislocate dove si costruivano armi per le forze armate tedesche, sia all’interno della Germania, che nei paesi dell’est occupati nel corso della guerra, obbligati a sostituire in forma schiavistica gli operai tedeschi arruolati da Hitler per le sue e nostre mire espansionistiche.

Le vicende personali di Armando Testa, che ricorderemo con brevi letture riprese dal suo diario di prigionia, pubblicato nel numero 29 dei “Quaderni d’Archivio della Cultura di Base”, del Sistema Bibliotecario Urbano di Bergamo, nel 1998, consentono di ripercorrere le diverse fasi vissute dai prigionieri militari italiani nei lager tedeschi, dal momento della cattura al trasporto coatto e disumano verso i lager, i trasferimenti avvenuti nel corso della prigionia con il variare continuo dei fronti di guerra per l’avanzata da est dell’esercito sovietico e da ovest degli angloamericani, fino alla liberazione e al suo tardivo rientro in Italia. Diario che denuncia la vita di assoluta precarietà, gli arbitrii, i soprusi, le sofferenze strazianti per le condizioni fisiche e morali, le malattie, la fame, la sporcizia, la morte, con note che hanno sottolineato il martellamento psicologico e le lusinghe per l’arruolamento nelle forze armate tedesche e della Repubblica Sociale Italiana.

Una prima distinzione di fondo da sottolineare nella storia degli IMI, è il diverso trattamento riservato dai tedeschi ai prigionieri militari italiani di grado “ufficiale”, per i quali erano stati istituiti 15 campi di prigionia o “Offizierlager”, distinti e separati dai “sottufficiali, graduati e soldati” distribuiti in oltre 90 campi denominati “Stalag”, suddivisi in “teillager” e “zweiglager” questi ultimi di proprietà delle industrie e ritenuti lager secondari. Una seconda distinzione riguarda lo “status” o qualifica riconosciuta ai militari italiani nei lager, passata dall’iniziale “prigionieri di guerra”, con la quale veniva riconosciuto il trattamento previsto dagli accordi internazionali, in presunzione, verificabile dalla CRI, alla qualifica di “Internati Militari Italiani-IMI”, dopo la nascita il 23 settembre nell’Italia Centro Settentrionale, per volontà di Hitler, della RSI guidata da Mussolini, con la conseguente perdita di tutti i diritti sanciti dai trattati internazionali, e un peggioramento delle condizioni di vita nei lager, per finire infine a “lavoratori civili” dopo il 20 luglio 1944, quando Hitler decise di cambiare lo “status” nel tentativo di migliorare il rendimento del lavoro coatto, richiesta avanzata dagli industriali e agrari tedeschi per aumentare l’efficienza della produzione, e da esponenti del regime fascista con il fine di avere maggiori consensi nel reclutamento nel quadro del progetto di “mobilitazione totale alla guerra”. Ciò produsse nel settembre 1944 la sottrazione parziale dei prigionieri alla competenza della Wehrmacht e il loro trasferimento nei cosìdetti “lager comunitari” del Fronte Tedesco del Lavoro. Dopo un modesto miglioramento delle condizioni di prigionia, la situazione peggiorò rapidamente per l’evoluzione della guerra favorevole agli alleati.

Non si può chiudere questa premessa di carattere generale dei “Prigionieri Militari Italiani” in Germania senza ricordare brevemente la dimensione di questa tragedia.

Le cifre sono riferite al recente studio presentato nel dicembre 2012 da una Commissione Mista italo-tedesca di studiosi e ricercatori storici della II Guerra Mondiale (cinque per parte), dopo tre anni di intenso lavoro, decisa congiuntamente dai Ministri degli Esteri Italiano e Tedesco dopo un incontro presso il campo di concentramento nazista della Risiera di S. Sabba a Trieste il 18 novembre 2008, incaricata di indagare il passato dei rapporti italo – tedeschi, ed in particolare gli “Internati Militari Italiani-IMI”, deportati in Germania, con un approfondimento dei rapporti tra i due Stati, dalla proclamazione del “Patto d’acciaio” del 1° novembre 1936, fino alla capitolazione della Wehrmacht in Italia, il 2 maggio 1945. Il tutto finalizzato alla costruzione di una ipotesi di condivisione degli “ideali di riconciliazione, solidarietà e integrazione, che sono alla base del processo di costituzione dell’Europa”.

Dopo l’8 settembre 1943, deposero le armi circa 1 milione di membri delle Forze Armate Italiane, circa 790.000 furono fatti prigionieri. All’arresto, e in tempi successivi, i prigionieri furono oggetto di offerte di “libertà” inizialmente per arruolarsi nelle file dell’esercito tedesco (SS, Wehrmacht, Luftwaffe, con la qualifica di “alleati volontari”), e in seguito in quello fascista della RSI con la sottoscrizione di una “dichiarazione d’impegno” che recitava così: “aderisco all’idea repubblicana dell’Italia repubblicana fascista e mi dichiaro volontariamente pronto a combattere con le armi nel costituendo nuovo Esercito italiano del Duce, senza riserve, anche sotto il Comando Supremo tedesco, contro il comune nemico dell’Italia repubblicana fascista del Duce e del Grande Reich germanico”.

A questi appelli, senza entrare nel merito delle motivazioni, aderirono circa 190.000 tra Ufficiali, Sottufficiali e Soldati (con percentuali maggiori tra gli Ufficiali), 90.000 subito, circa 100.000 nel corso della prigionia. Circa 600.000 (25.000 Ufficiali, 25.000 Sottufficiali, e 550.000 Soldati), si rifiutarono di collaborare con i nazisti e i fascisti, e percorsero tutta l’esperienza tragica dei lager. Dopo l’8 settembre 1943 e fino al termine del periodo di detenzione, persero la vita 50.000 militari italiani, 25.000 durante il disarmo (in Jugoslavia, nelle isole dello Jonio, da ricordare l’annientamento della Divisione “Acqui” a Cefalonia, dopo un drammatico tentativo di resistenza armata, e nelle isole dell’Egeo, in particolare il presidio di Lero), 25.000 nel campi di prigionia per maltrattamenti, privazioni, condizioni dure di lavoro, rappresaglie, malattie. Più di 5.000 internati militari italiani, alla fine del conflitto, risultano dispersi e di loro non si è saputo più nulla.

Il Sottotenente di fanteria Armando Testa, classe 1918, nato a Bergamo, in forza al 78° Reggimento “Lupi di Toscana”, inquadrato nella 2^ Armata dispiegata nel territorio croato-jugoslavo, all’annuncio dell’armistizio l’8 settembre, si trova col suo reparto a Buccari e constata il disfacimento dell’ordine militare per mancanza di direttive precise con un susseguirsi di ordini confusi e contraddittori. Tutti pensano che la guerra sia finita e ognuno sceglie la sua strada per far ritorno a casa. Annota nel suo diario “lunghe colonne di uomini si dirigono a piedi e con ogni mezzo verso l’Italia. E’ una ritirata disordinata, è una disfatta”. Il 12 settembre a Pola viene arrestato dai tedeschi. A lui e agli altri prigionieri vengono imposte tre condizioni 1) combattere coi tedeschi, 2) collaborare coi tedeschi, 3) non combattere né collaborare coi tedeschi. Armando sceglie la terza opzione e resta prigioniero insieme a tanti altri commilitoni. Inizia la sua odissea e il suo trasferimento nei campi di prigionia tedeschi.

Nelle note sui trasferimenti descrive situazioni allucinanti : da Pola a Venezia, dove annota che “assiste malauguratamente come spettatore a scene raccapriccianti e orribili : tentativi di fuga frustrati con fucilate, colte a segno dai tedeschi”, poi Tarvisio : “si va in esilio, si entra in suolo straniero, la nostra odissea si inoltra; quali e quante tristi vicende ci saranno riservate!?”, e poi Hof, Berlino, Neu Brandemburg : “la popolazione è accanita contro di noi perché siamo italiani, badogliani e ufficiali…Alcuni ci sputano addosso. Incomincio a saggiare la perversità, la malvagità di questi cruccacci della malora. Dovrò subire e tacere soffrendo fisicamente e moralmente”. E ancora : “la spietata propaganda filo-tedesca da parte di alcuni ufficiali italiani fascisti ottiene nuove adesioni alla Germania. Un nostro colonnello che fungeva da comandante del nostro gruppo, apre la serie della prostituzione al tedesco. Durante l’appello, egli, ufficiale superiore, presenta la forza del nostro gruppo col saluto romano ad un sergente tedesco, molto inferiore di grado, provocando il nostro vivo sdegno e ribrezzo”. Poi Varsavia, e il lager di Deblin, dove annota “dal primo giorno di prigionia mandatari della pseudo Repubblica Italiana appoggiata dai loro padroni tedeschi, visitano i campi di prigionia italiani, col solo scopo propagandistico. Purtroppo ogni volta riescono a carpire qualche adesione. Questa volta si tratta della visita di una missione di venduti comandata da un Generale repubblichino il quale attraverso il microfono ci fa udire il suo sfacciato e stolto discorso, provocando nella massa profonda indignazione”. E a seguire “la fame è bestiale, per combatterla si arrischia tutto…Tra la massa frequenti gli svenimenti… Aumentano i casi di congelamento ai piedi, morale bassissimo, a stento trattengo le lacrime”. L’avanzata dei russi obbliga il trasferimento nel lager di Oberlangen, al confine con l’Olanda, raggiunto “dopo cinque giorni di treno in condizioni disgraziatissime, rinchiusi ed assiepati in vagoni bestiame…E’ reso necessario un turno per occupare il posto vicino al mastello degli escrementi. Al malcapitato è facile immaginare ciò che può capitargli con gli scossoni provocati dal treno”. E ancora “le amicizie epidermiche aumentano ancora a vista d’occhio: miriadi di pulci e pidocchi scorazzano in lungo e in largo… E poi schifose e puzzolenti cimici, piattole…Grande giubilo, dopo 13 mesi di prigionia, arrivano i primi aiuti dalla CR Italiana , 8 gallette, 18 formaggini, una scatoletta di latte condensato ciascuno. Logico il beneficio, la CR Internazionale non può intervenire perché noi non abbiamo, secondo i tedeschi, la qualifica di prigionieri di guerra, ma militari castigati dal Duce”. Lager di Bielefeld, dove annota “La Convenzione Internazionale non contempla l’obbligatorietà al lavoro forzato per gli ufficiali prigionieri. La scarsità di volontari fa scattare la mobilitazione autoritaria coinvolgendo prima i giovani. Io vengo incluso in un gruppo di 50 perlopiù ufficiali subalterni destinati ad una fabbrica di guerra. Prima con le buone e poi con le minacce ci chiedono di lavorare ma il rifiuto è unanime”. E ancora “tanto per cambiare lo strazio di una fame perenne si ripercuote sensibilmente sullo stato fisico. La debolezza non mi consente un seppur minimo sforzo. Inoltre capogiri e crampi allo stomaco. Ironia vuole che riceva da casa un pacco di …conforto incluse spazzole e brillantina per i capelli, frutto della propaganda fascista mirante a mascherare o peggio a sovvertire la nostra situazione reale. Un collega riceve da casa addirittura un paio di sci”. Lager di Sandbostel, confine con la Danimarca, Armando annota “nostri compagni mitragliati dalle sentinelle tedesche del campo perché stanno osservando (forse compiaciuti) aerei alleati di passaggio. Tra le vittime di questa ennesima crudeltà figura il ten. Oprandi Luigi, bergamasco, mio ex compagno dell’Esperia, che resta ferito gravemente…Un nostro compagno viene fucilato perché si lava vicino al filo di delimitazione…Il ten. Quagliolo per futili motivi viene ferito e piantonato per ore e poi portato al lazzaretto per morire”. Lager di Wietzendorf, Bassa Sassonia, dove Armando passa la maggior parte della prigionia, e vi resta per un periodo anche dopo la liberazione del campo da parte degli alleati avvenuta il 16 aprile 1945. Armando annota “Un alto ufficiale alleato trionfalmente accolto viene ad annunciare la nostra liberazione. L’entusiasmo che si scatena tra di noi è indescrivibile, commovente e trascendentale. In ogni volto abbruttito da tante sofferenze traspare una gioia che non ha niente del comune: si vede ridere, piangere, smaniare. Da ora non sono più un numero (105273), ho riconquistato la mia personalità…Ma le operazioni di rimpatrio presentano delle difficoltà, i comandi alleati hanno stabilito una graduatoria per le partenze dando la precedenza agli ex prigionieri delle nazioni vincitrici. Noi italiani siamo il fanalino di coda. Tutto va a rilento. Il rientro, grazie anche all’interessamento della Commissione Pontificia Opera di Assistenza, avviene il 22 agosto 1945. Vestiti come pezzenti con un misero fardello sulle spalle ma col morale alle stelle ci accingiamo a lasciare indietro il suolo tedesco e con esso tante brutture : un calvario. Raggiungiamo raggianti il sacro suolo italiano. Commossi, emozionati, ci abbracciamo, non riuscendo a trattenere le lacrime. Commovente al superlativo l’incontro con i miei cari genitori, sorelle, nipoti, parenti tutti. Al tedesco disumano e crudele vada il mio perdono, ma non mi dimenticherò mai le persecuzioni, le angherie, i maltrattamenti subiti da loro”.

Nel maggio 1945 il Ten. Col. Pietro Testa comandante degli ufficiali presenti nel campo di prigionia di Wietzendorf, segnalò al comando alleato “i criminali nazisti responsabili del campo”, sottolineando “la fondatezza dell’ordine emanato dalle autorità superiori tedesche nei primi giorni di aprile 1945 di assassinare gli ufficiali italiani mediante azioni di mitragliamento e bombardamento del campo”. Il piano non venne fortunatamente attuato per il precipitare della situazione bellica. A chiusura del messaggio scrisse con orgoglio “abbiamo resistito nel nome della Patria. Siamo degni di ricostruire. Ricordiamo i nostri morti, morti di stenti, ma fieri nelle facce sparute sotto gli abiti a brandelli, con una fede inchiodata alta come una bandiera. Salutiamo la Patria che risorge, che dobbiamo far risorgere. W l’Italia”.

Da parte sua a conclusione del diario di prigionia, il Sten. Armando Testa, scrive “non mi sono piegato alle minacce, ai soprusi di un nemico assai crudele. Ho resistito ad ogni sacrificio. E questa per me è stata una grande vittoria morale. Cosa sia la prigionia nei Lager nazisti è inspiegabile; chi non l’ha fatta non può assolutamente capire”.

Da ufficiale in congedo Armando Testa ha raggiunto il grado di Tenente Colonnello. Per tutto quello che ha fatto nella sua vita lo ringraziamo vivamente, e lo additiamo alle nuove generazioni come esempio di coerenza, spirito di sacrificio e amor di Patria.