GATTO ALFONSO, Salerno 1909-Orbetello (GR) 1976, poeta
Inizialmente vicino all’ermetismo, dopo la militanza antifascista maturò una svolta che lo portò ad affrontare temi politici, svolgendo anche una intensa attività giornalistica. La crisi politica che lo portò fuori dal PCI, segnò un importante mutamento nella sua produzione poetica. Con Pratolini fondò la rivista “Campo di Marte” (1938)
QUASIMODO SALVATORE, Siracusa 1901-Amalfi 1968, poeta
Poeta ermetico, teso alla purità estrema della parola, alla più preziosa rarefazione dell’immagine. Premio Nobel per la letteratura nel 1959. Fin dall’inizio la molla segreta e intima della ricerca di Q. si rivela la lezione classica, reinterpretata alla luce della poetica dell’ermetismo ma sempre conservata nella sua alta dignità formale. Q. trova un perfetto equilibrio fra la tensione verso messaggi universali e l’esperienza bruciante delle cose; la poesia non è più fatto privato ma commozione comune, passione di tutti, partecipazione di sofferenza.
LEVI CARLO, Torino 1902-Roma 1975, pittore e scrittore
Partecipò alla fondazione di “Giustizia e Libertà”, di cui fu uno dei più acuti e originali teorici, e per la sua intensa attività antifascista fu condannato tra il 1935/36 al confino in Lucania. Si rifugiò in seguito in Francia (fino al 1942). Rientrato in Italia partecipò alla Resistenza attivo nelle file del Partito d’Azione. Senatore dal 1963 al 1972 fra le file degli indipendenti di sinistra.
PASOLINI PIER PAOLO, Bologna 1922-Ostia 1975, scrittore e regista
Personalità chiave nella cultura italiana nella seconda metà del novecento. Friulano di Casarsa, sperimentò nella poesia il dialetto e la lingua, passando dal livello prelinguistico e prenatale del dialetto al livello culturale della lingua (per i testi dialettali molto aveva significato l’attraversamento dell’ermetismo). Due i poli di intensa attività: la “passione” privata dell’autobiografia, e “l’ideologia” pubblica dell’impegno politico.
LEVI PRIMO, Torino 1919-ivi 1987, narratore
Di professione chimico, nel 1944 fu deportato ad Auschwitz e al ritorno divenne scrittore soprattutto per l’impulso insopprimibile alla testimonianza intorno alle tragiche esperienze vissute nel campo di concentramento.
CALAMANDREI PIERO, Firenze 1889-ivi 1956, giurista,scrittore e politico
Fu tra i fondatori del Partito d’Azione. Studioso di diritto processuale civile, attivo antifascista, fu tra gli artefici della Costituzione. Nel 1945 fondò la rivista “Il ponte”.
SABA UMBERTO, Trieste 1883-Gorizia 1957, poeta
Di origine ebrea per parte di madre (il suo vero nome era Poli), prima di dedicarsi alla letteratura fece studi commerciali, e fu praticante di commercio presso una casa triestina. Per molti anni fu proprietario e direttore di una libreria antiquaria a TS. Subì gli influssi di Montale e la mediazione di Penna.
PAVESE CESARE, S. Stefano Belbo (CN) 1908-Torino 1950, narratore e poeta
Studiò a Torino subendo particolarmente l’influenza dello scrittore antifascista Augusto Monti. Iniziò la sua attività presso la casa editrice Einaudi di cui sarebbe diventato uno dei principali collaboratori. Dopo una condanna tre anni di confino (scontata in parte), tornò a Torino e nel 1943 si rifugiò nel Monferrato per sfuggire alla guerra. Dopo la liberazione si iscrisse al PCI e questo fu il periodo più fecondo della sua attività.
UNGARETTI GIUSEPPE, Alessandria d’Egitto 1888-Milano 1970, poeta
Di famiglia toscana, trascorse l’infanzia e l’adolescenza in Egitto. Poi passò molti anni a Parigi a contatto con le prime avanguardie del novecento a contatto con i grandi temi del simbolismo e della poesia pura. Partecipò alla I GM, avendo già compiuto le prime prove poetiche.
MONTALE EUGENIO, Genova 1896-Milano 1981, poeta
Visse e studiò a Genova fino al 1927, passò in seguito alla direzione del gabinetto scientifico-letterario “Vieussieux” a Firenze, e poi al lavoro di redazione al “Corriere della Sera” a Milano.
Una vita chefissò un’immagine di ordine, di ritegno e modestia, che singolarmente si identificò con la fisionomia severa, chiusa, antiretorica, della poesia di M., non sfiorata dai riconoscimenti più ufficiali: dalla nomina a senatore a vita (1967), al premio Nobel per la letteratura (1975).
GIOVANNI da MONTEPELATO, Chiuduno (BG) 1926
Pseudonimo di don Giovanni Finazzi, nato a Chiuduno il 9 febbraio 1926, sulla collina chiamata Monte Pelato, patronimicamente adottato come cognome. La vena poetica si manifesta fin dagli anni del ginnasio e del liceo che conclude presso i Sacramentini di S. Benedetto del Tronto. Segue la sua vocazione ecclesiastica e viene ordinato prete nel 1952. Dopo esperienze da direttore di scuola media e di parroco a Villa di Serio e Valtorta, decide la vita missionaria: Venezuela, Zaire. Rientra in Italia e dal 1983 vive e lavora a Zandobbio.
… Ma io scrivo ancora parole d’amore,
e anche questa è una lettera d’amore
alla mia terra. Scrivo ai fratelli Cervi,
non alle sette stelle dell’Orsa: ai sette emiliani
dei campi. Avevano nel cuore pochi libri,
morirono tirando dadi d’amore nel silenzio.
Non sapevano, soldati, filosofi, poeti,
di questo umanesimo, di razza contadina.
L’amore, la morte, in una fossa di nebbia appena fonda.
Ogni terra vorrebbe i vostri nomi di forza, di pudore,
non per memoria, ma per i giorni che strisciano
tardi di storia, rapidi di macchie di sangue.
Salvatore Quasimodo
Inermi borgate dell’alpe
asilo di rifugiati
prese d’assalto coi lanciafiamme
arsi vivi nel rogo dei casali
i bambini avvinghiati alle madri
fosse notturne scavate
dagli assassini in fuga
per nascondervi stragi di trucidati innocenti
questo vi riuscì.
S. Terenzio Bergiola Zeri Vinca
Forno Mommio Traverde S. Anna S. Leonardo
scrivete questi nomi
son le vostre vittorie
ma espugnare queste trincee di marmo
di dove il popolo apuano
cavatori e pastori
e le loro donne staffette
tutti armati di fame e di libertà
vi sfidava beffardo da ogni cima
questo non vi riuscì.
Ora sul mare son tornati al carico i velieri
e nelle cave i boati delle mine
chiaman lavoro e non guerra.
Ma questa pace non è oblio.
Stanno in vedetta
queste montagne decorate di medaglia d’oro
al valore partigiano
taglienti come lame
immacolato baluardo
contro ogni ritorno.
Piero Calamandrei
Avevo una bambina, oggi una donna.
di me vedevo in lei la miglior parte.
Tempo funesto anche trovava l’arte
di staccarla da me, che la radice
vede in me dei suoi mali, né più l’occhio
mi volge, azzurro, con l’usato affetto.
Tutto mi portò via il fascista abbietto
ed il tedesco lurco.
Avevo una città bella tra i monti
rocciosi e il mare luminoso. Mia
perché vi nacqui, più che d’altri mia
che la scoprivo fanciullo, ed adulto
per sempre a Italia la sposai col canto.
Vivere si doveva. Ed io per tanto
scelsi fra i mali il più degno: fu il piccolo
d’antichi libri raro negozietto.
Tutto mi portò via il fascista inetto
ed il tedesco lurco.
Avevo un cimitero ove mia madre
riposa, e i vecchi di mia madre. Bello
come un giardino; e quante volte in quello
mi rifugiavo col pensiero! Oscuri
esili e lunghi, altre vicende, dubbio
quel giardino mi mostrano e quel letto.
Tutto mi portò via il fascista abbietto
-anche la tomba- e il tedesco lurco.
Umberto Saba
E allora noi vili
Che amavamo la sera
Bisbigliante, le case,
i sentieri sul fiume,
le luci rosse e sporche
di quei luoghi, il dolore
addolcito e taciuto –
noi strappammo le mani
dalla viva catena
e tacemmo, ma il cuore
ci sussultò di sangue,
e non fu più dolcezza,
non fu più abbandonarsi
al sentiero sul fiume –
non più servi, sapemmo
di essere soli e vivi.
Cesare Pavese
Le usate strade
– Folli i miei passi come d’un automa-
Che una volta d’incanto si muovevano
Con la mia corsa,
ora più svolgersi non sanno in grazie
piene di tempo
svelano, a ogni mio umore rimutate,
i segni vani che le fanno vive
se ci misurano.
E quando squillano al tramonto i vetri,
– ma le case più non ne hanno allegria –
per abitudine se alfine sosto
disilluso cercando almeno quiete,
nelle penombre caute
delle stanze raccolte
quantunque ne sia tenera la voce
non uso dei presenti sparsi oggetti,
invecchiato con me,
o a residui d’immagine legato
di una qualche vicenda che mi occorse,
può inatteso tornare a circondarmi
sciogliendomi dal cuore le parole.
Appresero così le braccia offerte
– i carnali occhi
disfatti da dissimulate lacrime,
l’orecchio assurdo, –
quell’umile speranza
che travolgeva il teso Michelangelo
a murare ogni spazio in un baleno
non concedendo all’anima
nemmeno la risorsa di spezzarsi.
Nel desolato fremito ale dava
a un’urbe come semenza, arcana,
perpetuava in sé il certo cielo, cupola
febbrilmente superstite.
Giuseppe Ungaretti
Un Bedlington s’affaccia, pecorella
azzurra, al tremolio di quei tronconi
-Trinity Bridge –nell’acqua. Se s’infognano
come topi di chiavica i padroni
d’ieri (di sempre?) i colpi che martellano
le tue tempie fin lì, nella corsia
del paradiso, sono il gong che ancora
ti rivuole fra noi, sorella mia.
Eugenio Montale
Quando entro in questa via e penso alla Malga Lunga
e quel giorno della tua fucilazione
fratello e compagno di quanti non hai potuto salvare
e che hai potuto morire assieme, perché eroe:
come sono secche le nostre palme e aride le parole
se il tuo spirito evoca questa strada
se la gente sapesse chi il tuo nome era
e chi scrisse l’ultima lettera alla madre
e che morì con un russo alla pari come uomo
senza fede diversa, senza credo straniero
se non quello di tuo padre sull’Amba.
Quanti di noi seguirono il rischio e il disonore
la prepotenza e l’accostamento dei banditi
asserragliati nelle nostre idee di libertà
costretti sui monti senza spazi, senza rifugi sicuri
pochi e non capiti religiosamente dai nostri
compromessi nella vita e morti prima di morire.
Fate isola pedonale questa via, nessun rumore di motori
nessuna uniforme di vigili e vigilesse, né sentore di armi
tenete le saracinesche alzate, giorno e notte illuminate
venite nella via di Giorgio, dategli i suoi metri di libertà
dove non più banditi, dove non più soldati
dove non più partigiani, dove uomini liberi camminano.
Giovanni da Montepelato